02 aprile, 2008

Bruce Springsteen


"L'uomo dei sogni"

“A un certo punto ti rendi conto che non è possibile vivere in quel rock’n’roll dream che ti stai portando dentro. Se lo fai tradisci la sua stessa promessa e dici cose senza senso. Se insisti diventi uno di quei coglioni decadenti che parlano solo di sé. E non ne vale la pena. Non è dignitoso per un’uomo farsi intrappolare così. Questo non vuol dire sminuire l’importanza del segno e di quello che esso implica.”
La convinzione che il rock’n’roll possa salvare e redimere la tua anima è sempre stata il centro pulsante del rock’n’roll stesso. Può un musicista di rock’n’roll redimerla per una notte? Certamente. Notte dopo notte? Quasi sicuro. Anno dopo anno? Ci puoi provare. Per tutta una carriera? Difficile, ma puoi sempre creare grande musica. Negli ultimi vent’anni nessuno più di Bruce Springsteen ha incarnato il grande spirito del rock- terra d’elezione per mitipiù grandi della vita e in grado dunque di durare oltre la vita stessa. Perennemente in bilico tra il soffio lieve della quotidianità e il respiro tempestoso dell’epica, con pochi simbolismi ed indovinate metafore ha sistemato la sua ordinary people in uno scenario di cento strade diverse su ognuna delle quali si combatteva una battaglia: la (Thunder) road della Redenzione, la freeway della Fuga, la back-street in cui nascondersi, la street dove gareggiare per non rimanere intrappolati dalla vita, la highway della libertà ma anche degli incidenti, gli alleys in cui si muove il popolo delle jungle lands, i board-walk dell’infanzia, le promenade dei coraggiosi, il boulevard dei Dean di periferia. Incarnazione di una coscienza comune, catalizzatore dell’incertezza e dell’eccitazione di una generazione che voleva correre anche senza aver chiara la meta, Springsteen ha raccontato l’epopea americana, ha cantato il viaggio come ricerca della Nuova Frontiera, di una Terra Promessa dove tutto, se non più giusto, sarebbe almeno più chiaro. Ha ridato nuove vibrazioni al rock’n’roll, alla forma ma soprattutto al contenuto, urlando a squarcia gola che il rock’n’roll non ha niente a che fare con la resa e la sconfitta, che mai, dai glory day di Elvis ai better days in cui la vita ti aveva costretto a sperare, ha significato arrendersi, gettare la spugna, che alcune possibilità si realizzeranno e altre no, ma che contro quel Grande Burattinaio che è il Fato a volte sono sufficienti un paio di semplicissime forbici per tagliare i fili e scappare via. Springsteen, ed è di questo che bisognerà sempre rendergli merito, ha ribadito – dopo Elvis, Dylan, Stones e gli altri santi del calendario musicale – che il rock’n’rollo ti può salvare la vita, dividerla tra un prima e un dopo, darti le chiavi per fuggire in strada alla scoperta dell’America, farti sentire innocente ma coraggioso e, più di tutto,per sempre giovane. Con questa idea romantica del rock come redenzione, Bruce Springsteen ha rappresentato, per l’America prima e per il mondo poi, un’altra Grande Speranza Bianca. Un altro profeta, come Dylan. Con una differenza. Che negli anni ’60 Blowin’ in the wind e Masters of war cristallizzarono alla perfezione un sentimento che già era diffuso negli ambienti universitari, che già soffiava nel vento dei movimenti per i diritti civili; Born to Run e Thunder road, invece, sollevarono il mento di tutti gli orfani d’America che, non avendo capito il Vietnam e capito fin troppo bene il Watergate, si ritrovarono spiazzati, senza una direzione, senza una guida. Springsteen, evitando magnificamente di dettare ai suoi fedeli le Tavole della legge, è stato per anni l’uomo delle molte grandi domande – quelle che i suoi personaggi hanno rivolto, invecchiando, a se stessi e al proprio paese nella lunga corsa dal 1975 al 1985 – e delle poche (ma importanti) Grandi Risposte – “ C’è un sogno dentro al rock e ognuno può contribuire a portarlo avanti. Il riscatto è dentro al rock”. Per rendere più chiaro il pensiero, ha concepito i suoi concerti come metafora della vita, psicodrammi spettacolari che, attraverso l’alternarsi senza tregua di emozioni, sentimenti ed elementi antitetici – la rabbia e la speranza, il sogno e la disillusione, le promesse e i tradimenti – conducono lo spettatore all’esplosione finale,all’urlo o al pianto, alla commozione piena o all’eccitazione di una notte senza fine. Con essi, Springsteen ha risolto senza ombra di dubbio l’equivoco che il rockabbia bisogno di trovare sceniche o spettacolari, giochi di prestigio, fumi o fuochi d’artificio. E’ la musica, e solo quella, ad incendiarsi.e per rendere il pensiero più credibile, per evitare che i suoi personaggi raccontassero all’infinito la favola di Peter Pan e assumessero connotati da fumetto, ha fato sì che quei personaggi crescessero, a volte assumendo nomi e generalità diverse, ma senza mai perdere le caratteristiche peculiari, anno dopo anno, album dopo album. Caso unico nella storia del rock, ogni nuovo disco di B.Springsteen inizia là dove termina quello precedente. BORN TO RUN, primo capitolo dopo la prefazione di “Greeting from Asbury park”, N.J.e il prologo di The wild, The Innocent & The E Street Shuffle, avvia la ricerca di due ragazzi, non sempre insieme e non sempre innamorati, ma comunque vicini, che non sanno esattamente ciò che cercano, ma che si dannano l’anima per trovarlo. In Darkness on the edge of town si perde quel senso di viaggio libero, romantico. Se vuoi correre devi pagare. I personaggi hanno conosciuto l’isolamento, la disperazione e il male di vivere, e rimangono aggrappati alla loro vita come se sentisserodi avere a disposizione una sola, ultima possibilità. La ricerca dei due ragazzi sembra già concludersi all’ombra di quella collina ai margini della città, dove è necessario liberarsi di tutto per rientrare in possesso di se stessi. The River ritrova il romanticismo epico e inserisce le precedenti esperienze nella giusta ottica, nel senso che contempla la realtà di Darkness, ma anche le possibilità di Born to Run. E’ il tentativo di accettare le storture della vita e convivere con i suoi paradossi. I due ragazzi chiedono un amore che sia rifugio da mondo, conforto e consolazione prima ancora che passaporto per l’Eldorado. NEBRASKA racconta la loro crisi spirituale, la rottura dei valori, l’isolamento totale: dalla famiglia, dalla società, dagli amici, dal governo. La corsa continua sotto un cielo troppo grigio e su una strada troppo lunga . i ragazzi continuano a correre, ma quasi da estranei. BORN IN THE USA, che fa registrare l’ingresso in scena di altri personaggi sopravvissuti a piccoli e grandi conflitti, è una corsa con la marcia in folle di chi cerca disperatamente di aggrapparsi a qualcosa per avere un briciolo di sicurezza e che si conclude con il ritorno a casa in My Hometown. TUNNEL OF LOVE segue i due protagonisti dagli spazi aperti della strada ai quattro muri della casa. In cautious Man, per la prima volta l’io narrante vede nell’autostrada “Nothing but road”, niente altro che asfalto, quando un tempo i simbolismi e le metafore viaggiavano parallele alla linea di mezzeria. Ill primo lato di Tunnel of Love descrive l’impossibilità di vivere senza amore, il secondo racconto l’impossibilità di vivere con un amore senza pagarne il prezzo. I vecchi album di Springsteen erano abitati da ribelli con una causa, quelli di questo disco si dannano l’anima per salvare il salvabile e portare il culo a casa. In poche parole, per non essere vittime in eterno. Una corsa, un viaggio, una carriera irripetibili. Tra il mondo del rock’n’roll rischiarato dall’Eccitamento e dalla fede, e il mondo reale i cui muri si restringono ora dopo ora. Con adolescenti nati per correre che non si fermerebbero mai; con personaggi adulti come quelli ritratti da Edward Hopper, che guardano nel vuoto per ricordare senza riuscirci qualcosa di essenziale, per rammentare come davvero sono andate le cose nel passato; e con figure senza età che guardano avanti comunque, cercando di rimettere insieme i frammenti di anni magici o terribili, felici o disordinati pur di non arrendersi. Per ombre tutelari, Springsteen ha avuto tanto il candido sognare di Ismaele che l’incontenibile furore di Achab. E oggi, dopo aver cercato invano di fiocinare la Balena Bianca del rock, vale a dire l’attimo fuggente, il momento esatto in cui l’adolescenza si trasforma in maturità senza smarrire i sogni e le illusioni, Springsteen annuncia la fine della corsa, del viaggio epico, dell’equazione Rock = Redenzione. La terra promessa, la perduta Atlantide da sogno che nell’intera storia americana e nel suo immaginario collettivo è il luogo deputato alla costruzione del futuro, oggi ha cambiato nome in Lucky Town, in città della fortuna, che a malapena ti consente di difendere dai vandali il presente. E con le nuove visioni springsteeniane è cambiato il registro di scrittura. Scompaiono i furori di Steinbeck e i libri di Flannery O’Connor, Norman Mailer e William Price Fox, i film di John Ford, Terne Malick e Martin Scorsese, le canzoni concepite come short stories e i ritmi come colonne sonore dell’ultimo cortometraggio metropolitano. Scompare quasi del tutto, nell’ultimo Springsteen di Human Touch e Lucky Town, l’America che ci aveva insegnato ad amare, l’America fabbrica di sogni. Ma non svaniscono la grande musica, la capacità di parlare delle cose che accadono nella sua vita e la sincerità, il suo essere vero. E’ confortante che a 43 anni Springsteen racconti l’alternarsi delle stagioni e delle età, piuttosto che, imprigionato in un’esistenza in cui ha smesso da tempo di credere, mandare in giro per il mondo un personaggio che fa egregiamente le sue veci, splendido golem a sua immagine e somiglianza. Rimane molta nostalgia per il Bruce di Backstreets, la stessa che si prova per il Jackson Browne di Late For The Sky o il Dylan di Sad Eyes Lady Of The Lowlands. E’ la nostalgia verso il rock’n’roll che ti salva la vita, che oggi non esiste più. Ma Bruce Springsteen seguita, lo ripetiamo, a scrivere splendide canzoni e a dialogare con il suo pubblico, con la sua gente. E un vero dialogo, ricordava Erick Fromm, non è una conversazione né un duello, ma uno scambio. Non si tratta di stabilire chi abbia ragione o torto, né di dire cose di straordinaria importanza. Conta solo che lo scambio sia autentico. Con i due ultimi album, noi abbiamo forse perso una guida, ma Bruce Springsteen ha vinto la sua scommessa più difficile, non tradire la promessa che c’è nel sogno del rock.






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